img Col fuoco non si scherza  /  Chapter 4 No.4 | 6.78%
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Chapter 4 No.4

Word Count: 2265    |    Released on: 30/11/2017

Sae

che stupenda ragazza! Piuttosto alta e slanciata, la sua persona più vigorosa che ricca sentiva ancor molto l

elicatezza, dominava un po' troppo con quella folta criniera di capelli colo

rretta e più pettinata. Ma gli occhi d'un celeste chiaro erano di una bellezza rara e parlante; la voce d'una risonanza metallica aveva nelle parole e nel ridere degli squilli sonori di battaglia, che indicavano uno spirito nato per dire e per fare cose non comuni, che si rifiuta agli effetti volgari come alle regole della moda e del galateo dei salotti, in cui le signore amano sparpagliare più di quanto possono disporre. Ezio, abituato a bellezze più molli e più seducenti, non aveva mai posto mente a quel non so che di insolito e di s

n conosceva della vita che quanto se ne può capire attraverso ai romanzi inglesi dell'edizione Tauchnitz. Si può essere sicuri che essa non c

in un bisogno di vita raccolta, come gli capitava di tempo in tempo, quando la naus

vano parere dolci le ore che passava a Villa Serena e al Castelletto in tranquille occupazioni amministrative, tra i libri e le memorie, nella lettura di

te in chi sa e tocca colla mano di quanta cipria e di quanto belletto sia impastata la bellezza corrotta. Gli occhi di Flora avevano profondità marine: negli occhi di Liana era come guardare nell'acqua scura d'uno stagno. Una risata acuta di Flora saliva al cielo come uno scampanìo a festa; il sorriso fatuo di

n farla pesar troppo sul cuore, tuttavia sentiva che la verità della vita non era che in ciò che essa può avere di buono e di sano. Sentiva nello stesso te

he aveva visto quel profluvio di capelli cascanti sulla sua persona, un fascino nuovo e pericoloso lo accompagnava sempre, come

o rifarmi in lei una soave verginità di cuore. Ma ora no; sarebbe male e per me e per lei... Uccel di bosco, non posso ancora desiderare la gabbia d'oro. La virtù, una volta sposata, è difficile

se così tutti coloro che possono far qualche conto sui piaceri della vita?-Il giudizio vien da sè in gro

eva già avuto occasione di conoscere, bastavano a metterlo in guardia contro i falsi gorgheggi di quell'idealismo, che attira i merli per farli poi mor

cioè, per stare al caso suo, sentiva di voler bene a Flora, di cui conosceva oltre a qualche singolare prerogativa fisica, il prez

a con lei: o colla scusa di farsi accompagnare in qualch

osissimo. Si voleva dare un assetto nuovo a certe sale, rimovere una libreria, preparare il materiale per una futura pubblicazione: bisognava fa

Che se ne doveva fare? abbruciarli era peccato: nè si voleva ingombrar stanze e scaffali con roba fuor di stagione. Ma intanto conveniva far passare quei grossi volumi che potevano contenere note e postille di qualche valore, Da un'ora i due giovani lavoravano con intenso raccoglimento, in mezzo a una nuvola di polvere, presso la finestra del balcone, levando

ento e rende l'animo pauroso delle proprie sensazioni. Il cielo divenne ben tosto d'un bigio cenere, intenso, carico di vento e di tuoni: il lago, teso, d'un color di ferro pareva scosso da impeti convulsivi, mal frenati dalla stanchezza pesante dell'acqua, su cui roteavano i gabbiani con giri instanca

pe poi che nelle valli aveva fatto il diavolo, strappato alberi, dirocc

ria dell'acquazzone, che fu più forte di lei, le strappò di mano le imposte, l'avvolse, l'accecò con un turbine così villano, che grondante acqua dai mille capelli dovette ritirarsi e chiedere aiuto. In quell'istante la saetta, che s'era tenuta in riserbo per il colpo finale, scoppiò sopra un ginocchio del monte, tutta la casa traballò e un guizzo sanguigno passò nel cielo, tra gli alberi, nel cuore della fanciulla, che si ricoverò atterrita nelle braccia di Ezio. Egli l'accolse e la prot

prima rampa della scala. Egli si tenne aggrappato all'inferriata. Dal pianerottolo, Flora mandò sulla punta della mano un gran bacio a lui e scese a precipizio a cercar la mamma, che vedendola così bagnata e scomposta, le av

ggio di luce livida, che sprigionandosi dal nugolone nero, correva sulle creste della burrasca come un faro elettrico a illuminare la danza dei cavalloni bianchi e verdognoli. Quel raggio di luce solare, come se fosse mosso da una mano nascosta nel grembo della nube, si apriva a ventaglio

iato trasportare anche lui come un gabbiano da un soffio temporalesco di passione, e or

rvo nelle spalle, avvilito, pensando ai modi coi quali avrebbe potuto purificarsi di quel grosso peccato d'irriflessione.

e il rimorso, misto all'amaro sapore della stizza, gli saliva alla gola e gli riempiva la bocca ancora quando

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